venerdì 19 marzo 2021


LE FORZE CONTRAPPOSTE ALLA VIGLIA DELLO SBARCO ALLEATO IN SICILIA


FORZE ITALO-TEDESCHE

Alla vigilia dello sbarco l’Italia schierava in Sicilia 230.000 uomini e 1.500 cannoni organizzati nella 6° Armata con sede ad Enna, al comando del generale Alfredo Guzzoni.

I Reparti d’armata con capo di stato maggiore il gen. Emilio Faldella, erano così strutturati: Intendenza (gen. Ugo Abbondanza). Unità a disposizione: 4ª Div. fanteria motorizzata “Livorno” (gen. Domenico Chirieleison), 10° raggruppamento artiglieria semovente da 90/53 (col. Ugo Bedogni), 505° gruppo artiglieria da 90/53, battaglione del 10° reggimento arditi (maggiore Vito Marcianò), 177° bersaglieri, 1 Btg. costiero bersaglieri, 2 cp moto, 1 btg R35, XXIX Brigata costiera 136° rgt., XXX gruppo squadroni cavalleggeri “Palermo”, due batterie contraeree, 1 batteria da 75 mm.,  Gruppi mobili e Gruppi Tattici.

Il XII Corpo d’Armata, guidato dal gen. Mario Arisio con sede a Corleone e dal 12 luglio gen. Francesco Zingales, aveva competenza sulla Sicilia Occidentale, da Licata e Cefalù: 26ª Divisione. Fanteria da montagna "Assietta" (gen. Erberto Papini), 28ª Divisione Fanteria “Aosta" (gen. Giacomo Romano), 202ª Divisione Costiera (gen. Gino Ficalbi), 207a Divisione Costiera (gen. Ottorino Schreiber), 208a Divisione Costiera (gen. Giovanni Marciani), dislocata tra Palermo e Trapani), 136° Reggimento Costiero Autonomo (fra Palermo e S. Stefano di Camastra), truppe Costiere di C.d.A. di rinforzo, Difesa Porto "N" (Palermo), 10° Reggimento Bersaglieri (ten. col. Pio Storti), appartenente al gruppo tattico Schiusa Sclafani, 177° Reggimento Bersaglieri (col. Alessandro Venturi) a disposizione della 207a Divisione Costiera (gen. De Laurentis), 51° battaglione Bersaglieri, appartenente al gruppo tattico controcarro Inchiapparo-Casale, 1° battaglione Bersaglieri controcarro, , 448° battaglione costiero autocarro, ripartito per cp. nei gruppi  mobili “A”, “B”, “C”, 112° battaglione mitraglieri a disposizione della 208a Divisione Costiera, 102° battaglione carri del 131° raggruppamento di Fanteria Carristi (50 carri), ripartito per cp. nei gruppi “A”, “B”, “C”, 10a squadriglia autoblindo (13 unità), appartenente al gruppo tattico di Schiusa Sclafani, , 12° raggruppamento di artiglieria di medio calibro su 5 gruppi motorizzati (col. Ferdinando Ainis), 7° gruppo artiglieria contraerea da 75, 104° battaglione controcarri a disposizione della 207a Divisione Costiera, 19° gruppo Centauro  da 105/28, 103° gruppo da 75/27 a traino meccanico – 12a btr col 10° reggimento Bersaglieri, 110° gruppo da 75/27 a traino meccanico-2a btr col gruppo mobile “A”, 233° gruppo Centauro da 75/27 a traino meccanico aggregato alla Divisione “Assietta”, tranne la 6a btr aggregata al gruppo mobile “C”, 133° battaglione semoventi da 47/32, ripartito per cp. nei gruppi mobili “A”, “B”, “C”, 1° gruppo squadroni cavalleggeri “Palermo”, appartenente al gruppo tattico Campobello-Ravanusa, un battaglione del Genio..

Il XVI Corpo d’Armata, al comando del gen. Carlo Rossi con sede a Piazza Armerina, aveva competenza sulla Sicilia orientale, da est di Cefalù a Gela: 54ª Divisione Fanteria "Napoli"(gen. Giulio Cesare Conte Gotti Porcinari ), 206ª Divisione Costiera ( gen. Achille D'Havet), che aveva il compito di presidiare un settore lungo 132 km., XVIII Brigata Costiera (gen. Orazio Mariscalco), XIX Brigata costiera (gen. Giovanni Bocchetti), dislocata da S. Stefano di Camastra fino a Messina, 213ª Divisione Costiera (gen. Carlo Gotti), dislocata fra Messina e Catania);   truppe di C.d.A. di rinforzo Costiere, Difesa Porto "E" (Catania), 40° raggruppamento di artiglieria su tre gruppi da 105/28, 2 gruppi da 149/13 (col. Francesco Gennaro), un raggruppamento di artiglieria di medio calibro su 5 gruppi motorizzati, 12° battaglione mitraglieri, 11° gruppo artiglieria contraerea da 75, un battaglione del Genio, 101° battaglione carri del 131° Reggimento Fanteria Carrista (50 carri), CCXXXIII battaglione semovente da 47/32 (n. 15 unità), raggruppamento mobile Est su 5 gruppi (D, E, F, G, H).

            La difesa costiera era affidata ai reparti costieri (3 comandi piazze militari, 2 comandi porto, 5 divisioni, 2 brigate e un reggimento), il cui compito era limitato alla sola vigilanza, poiché si trattava di unità prive di automezzi ed incapaci di contrattaccare.

            Una divisione costiera aveva un organico di 8 mila uomini, divisi in 8  battaglioni di fanteria e 14 batterie con complessivi 56 pezzi di artiglieria. Una brigata aveva, invece, un organico di 5 battaglioni di frontiera e poteva contare su 8 batterie con 32 pezzi.

            Queste unità erano state costituite con richiamati siciliani delle classi più anziane (molti superavano anche i 35 anni), scarsamente addestrati e peggio equipaggiati. Questi soldati occupavano le scarse fortificazioni costruite sulle coste e nell’immediato entroterra, costituite da casamatte senza blindatura, da trinceramenti, parte in cemento e parte in scavo e reticolati con limitati campi minati. Questi uomini erano armati di moschetti 91 e di fucili mitragliatori Breda modello 30 di facile inceppamento e di bombe a mano SRCM che facevano più rumore che danno.

            Le 6a Armata portroppo soffriva delle solite carenze delle forze armate italiane. Disponeva, infatti, di pochi e ormai vecchi carri armati, in gran parte ricevuti dalla Commissione dell’armistizio con la Francia dopo la Grande Guerra. Si trattava di vecchi Renault non solo privi di pezzi di ricambio, ma anche dotati di una corazzatura che resisteva appena alle pallottole di fucile. Del tutto inconsistente ed antiquata era l’artiglieria anticarro, in gran parte risalente alla prima guerra mondiale e alla guerra libica. A questa si univano alcuni pezzi polacchi, preda bellica dei tedeschi sul fronte orientale. L’artiglieria migliore era stata persa in Russia. La fanteria era priva di motorizzazione. Le spiagge non erano state sufficientemente minate né erano state munite da veri sbarramenti antisbarco. Insufficienti i fortini e le casematte costruite lungo le coste e a difesa delle principali arterie stradali. I fortini, in particolare, funzionavano da avamposti isolati. Avevano una scarsa autonomia di fuoco, senza alcun riparo per gli attacchi alle spalle e difettavano di collegamenti telefonici. Lo spessore dei loro muri, inoltre, poteva facilmente essere sbriciolato dai cannoni di medio calibro. Molti, inoltre, erano troppo vicini al mare ed esposti alle micidiali bordate dalle navi da combattimento. Insufficienti erano anche i nidi di mitragliatrici. Complessivamente a difendere le coste, compresi i rincalzi e le riserve, c’erano schierati per la fanteria mediamente 36 soldati per chilometro e una mitragliatrice ogni cinque chilometri, mentre l’artiglieria aveva potuto mettere in campo solo una batteria per ogni 8-10 chilometri. E’ del tutto evidente che con questi esigui ed antiquati mezzi non si poteva respingere una forza alleata costituita da migliaia di soldati dotati di potenti e moderni mezzi offensivi. Mancavano persino le scarpe per i soldati. Quelle nei magazzini siciliani andavano dal 44 in poi e non erano utilizzabili. Ne furono spedite altre 70 mila paia, con i numeri giusti, ma giunte alla stazione di Catania mentre infuriava un attacco aereo, furono trafugate. Assai carente era pure il vestiario per i soldati, molti dei quali assai spesso se avevano i calzoni, non avevano invece la giubba. A ciò si unisce l’ormai debole morale delle truppe italiane a seguito delle varie sconfitte in Africa, da El Alamein alla resa in Tunisia, e della perdita di Pantelleria e di Lampedusa e dei massicci bombardamenti a tappeto che martellavano ripetutamente i principali centri dell’isola, tra cui Palermo, Catania, Caltanissetta e Comiso, che ne avevano sgretolato il tessuto urbanistico. La logica di tali bombardamenti rispondeva alla linea imposta dal Foreign Office a Casablanca e accettata dagli americani. Gli Inglesi, infatti, erano convinti che così facendo si piegava il morale degli italiani con il terrore, con i massacri e con le distruzioni e questa scelta doveva durare con fermezza sino al D-Day.

            Le incursioni aeree sulla Sicilia erano iniziate sin dalla dichiarazione di guerra. Nel giugno del 1940 l’iniziativa fu presa dagli aerei francesi che, giungendo dalla Tunisia, avevano come obiettivo Palermo e Trapani. Neutralizzata la Francia, incominciarono a colpire la Sicilia gli aerei inglesi che arrivavano quasi sempre di notte, quando la caccia italiana non si alzava in volo e la difesa delle città era affidata ad una insufficiente controaerea. L’intensità dei raid aumentò nel 1942. Con l’inizio del 1943 entrarono in azione i potenti B-24, chiamati Liberator. La mancanza di

calcestruzzo aveva impedito la costruzione di veri rifugi e pertanto la gente ricorreva alle cantine, ai sottoscale ed ironia della sorte venne a mancare anche l’acqua e il carburante per le autobotte dei Vigili del Fuoco.

Con la primavera del 1943 fu tale il dominio dell’aria da rendere superflua la precauzione degli anglo-anericani di presentarsi con il buio. Peraltro i pochi cannoni disponibili si rivelarono inutili contro aerei che volavano a 8-10 mila metri di quota.

            Nella classifica dei bombardamenti il primo posto spetta a Catania con 87 incursioni, seguita da Palermo con 69, Messina 58, Augusta 43, Trapani 41, Siracusa 36, Ragusa 27, Porto Empedocle 21, Licata 19, Agrigento 17, Marsala 16, Castelvetrano 13, Pozzallo, Comiso e Gela 12, Sciacca 10, Caltanissetta 6, Acireale 5, Avola, Gerbini, Ispica, Lentini e Magnisi 3. Le bombe, seppur per una volta, non risparmiarono Biancavilla, Pachino, Scicli, Noto, Cassibile, Milo. Complessivamente fu Messina la città più bersagliata per la sua posizione strategica. Infatti nei primi sei mesi del 1943 ricevette 2056 tonnellate di bombe.

            I bombardamenti più sconvolgenti li subì Palermo il 18 aprile e il 9 maggio 1943. Nel primo le bombe centrarono il rifugio di piazza Sett’Angeli vicino la cattedrale. Le macerie seppellirono centinaia di donne, bambini ed anziani. Nel secondo, due distinte ondate di 59 Liberator provocarono più di tre mila morti. Il numero esatto, tuttavia, rimase ignoto dato che molti corpi non furono mai recuperati. L’8 luglio 1943 fu colpita Catania. I morti furono centinaia.

Alle truppe di terra si aggiungono le Piazze Militari della Marina, legioni e coorti costiere autonome, i treni armati di Siracusa, Catania, Licata e Porto Empedocle nonché il Comando dell'Aeronautica della Sicilia (gen. di Div. aerea Adriano Monti) e la Difesa contraerea territoriale

L’Aeronautica Militare disponeva di 200 velivoli e poteva garantire solo una debole copertura aerea rispetto alla smisurata forza aerea nemica di oltre 420 cacciaparcheggiati a Malta  da dove le squadriglie decollavano 24 ore su 24 ore in appoggio agli squadroni di bombardieri che arrivavano dall’Africa con l’ordine di spianare l’isola e pur tuttavia, nonostante le giornate di vero inferno nel cielo di Sicilia, i caccia italiani e tedeschi non mancarono di coprirsi di gloria. Il 4 luglio gli aerei italiani effettuarono ben 212 missioni, abbattendo 22 aerei nemici e perdendone due propri. Alla vigilia dello sbarco i caccia italiani avevano abbattuto 53 aerei alleati, mentre altri 93 erano stati intercettati e abbattuti dai caccia tedeschi.

Il nocciolo duro delle Forze dell’Asse era costituito dalle due divisioni germaniche con complessivi 40.000 uomini al comando del feldmaresciallo Albert Kesserling distribuiti tra la 15a divisione panzergrenadier: Abteilungskommandeur Oberstleutnant: Eberhard Roth (dislocata nella Sicilia Occidentale), la divisione corazzata Hermann Goering: gen. Paul Conrath (dislocata ad oriente della Sicilia) e la 29a divisione panzergrenadier. La forza aera tedesca era costituita da 320 aerei. Ma tra queste divisioni e il comando italiano c’era un quasi totale scollamento

Le foze navali che gli Alleati si sarebbero potuti trovare di fronte erano ancora temibili. Infatti la R. Marina italiana aveva a disposizione 6 corazzate, di cui 3 modernissime, 7 incrociatori, 48 sommergibili e 75 tra cacciatorpediniere, motosiluranti ed unità di scorta. Non aveva però portaerei e le navi non disponevano di radar. Ma questo potenziale offensivo era però reso poco pericoloso non solo dalle discutibili scelte fatte dallo Stato Maggiore della Regia Marina. Non è vero che mancasse il carburante. La disponibilità di nafta alla vigilia dello sbarco in Sicilia ammontava a 58 mila tonnellate, sufficienti per un mese di navigazione. A difettare era la voglia di combattere, come accadeva dall’11 giugno 1940, dato che i vertici della Marina si rifiutavano di andare in battaglia. Eccesso di prudenza, eccesso di lungimiranza, o, molto più banalmente, rispetto di intese con il nemico tanto ferree quanto inconfessabili? Basti pensare come l’aviazione alleata tra il 1 giugno e il 9 luglio 1943 rase al suolo città e postazioni militari, ma non sgangiò neppure per sbaglio una bomba contro i porti di La Spezia, Genova e Taranto dove le navi italiane dondolavano in bella evidenza. In Sicilia, per questo motivo, a difendere le coste  erano presenti solo piccole unità per il pattugliamento costiero e qualche sommergibile, assai temuto dagli Alleati.

A cura di Calogero Carità 

 

 

FORZE ALLEATE

Gli alleati misero in campo il XV gruppo d’armate il cui comando venne affidato al generale britannico Harold Alexander, mentre il comando delle Forze Alleate nel Mediterraneo venne affidato al generale americano Dwight David Eisenhower. Il XV gruppo d’armate comprendeva la 7a Armata americana e l’8a Armata britannica, un’enorme e potente macchina bellica che poteva contare per l’assalto alle coste siciliane su 181 mila uomini ben armati e ben addestrati ( di cui 115 mila anglo-canadesi e 66 mila americani), che entro pochi giorni diventeranno ben 490 mila, su 2.590 navi, 2.519 aerei, 1.800 cannoni, 600 modernissimi carri armati e 14 mila veicoli e soprattutto su rifornimenti illimitati di munizioni, viveri e sussistenza. Il 15% delle forze della 7a Armata era costituito da oriundi siciliani.

La 7a Armata (West Task Force), affidata al comando del gen. Gerge Smith Jr. Patton, aveva come zona di competenza da Licata a Scoglitti per circa 80 km di costa e si articolava nei seguenti reparti d’armata: 2a Divisione corazzata (gen. Hugh Gaffey), l’82a Divisione Aviotrasportata (gen. Matthew Ridgway), la 9a Divisione Fanteria (gen. Eddy Manton), il 4° Tabor Goums (battaglione marocchino). Al II Corpo d’Armata, agli ordini del gen. Omar Bradley, che Alexander considerava il migliore comandante americano sul campo, un tattico eccellente ed equilibrato, l’antitesi di Patton, afferivano la Force Cent con la 45a Divisione di Fanteria (gen. Troy Middleton) (1), detta “Thunderbird” (Uccello di tuono) dal totem indiano riprodotto nelle mostrine che con il 753° battaglione corazzato aveva assegnata la zona di sbarco di Scoglitti e da lì procedere verso Caltagirone e Centuripe. La 45a era una formazione della Guardia Nazionale con i reggimenti di fanteria incentrati originariamente in Oklahoma, Colorado, Arizona  e non aveva ancora ricevuto il battesimo del fuoco. Era stata addestrata ed equipaggiata negli U.S.A. presso la base di Fort Devens. La Force Dime con la 1a Divisione di Fanteria (gen. Terry Allen), detta “The Big Red One” (Grande Uno Rosso) che, con il 1° e il 4° battaglione Ranger, aveva assegnata la zona di sbarco di Gela e da lì procedere verso Caltanissetta. La 1a divisione di fanteria era costituita da veterani e ci teneva a continuare l’orgogliosa tradizione risalente alla Grande Guerra. Era sbarcata in Africa settentrionale ed aveva combattuto per tutta la durata della campagna africana. Infine la Force Joss che con la  3a Divisione di Fanteria “Marne” e il 3° battaglione Ranger (gen. Lucian Jr.Truscott) aveva assegnata la zona di sbarco di Licata e da lì procedere verso Agrigento, Sciacca e Palermo. La 2a Divisione corazzata e un reggimento di fanteria, restavano provvisoriamente imbarcati, per essere utilizzati come riserva tattica da impiegare nei punti più critici. Entrambi questi reparti sbarcheranno successivamente sulle spiagge di Licata.

La flotta dell’ammiraglio Henry Kent Hewit, dotata di 580 navi e 1.124 mezzi da sbarco aveva il compito di trasportare le ruppe e proteggere lo sbarco della 7a Armata del generale Patton sul litorale ovest, tra Punta Braccetto e Torre di Gaffe.




L’8a Armata (Est Task Force), al comando del gen. Bernard Lau Montgmery aveva come zona di competenza dal golfo di Noto a Punta Castelluzzo (ad ovest di Capo Passero), per oltre 50 km di estensione.

Reparti d’Armata: 1a Divisione Aviotrasportata (gen. George Frederik Hopkinson) con obiettivo Siracusa, la 46a Divisione di fanteria, la 78° Divisione di Fanteria (gen. Vivian Evelegh) con obiettivo Siracusa.

XIII Corpo d’Armata (gen. Miles Dempsey), costituito dalla 5a Divisione di Fanteria (gen. Berney Ficklin) con l’ordine di procedere verso Cassibile, la 50a Divisione di Fanteria (gen. Sidney Kirkman) con obiettivo Avola, la 4a Brigata corazzata (gen. John Currie), 3° battaglione commandos e lo Special Raiding Squadron.

XXX Corpo d’Armata (gen. Oliver Leese) formato dalla 1a Divisione di Fanteria canadese (gen. Guy Simonds) con obiettivi Capo Passero e Punta Braccetto, la 51a Divisione di Fanteria “Higlanders” (gen. Douglas Wimberley) con direzione Pachino, 231a Brigata autonoma “Malta” (gen. Robert Urquhart) con direzione verso zone a nord di Pachino, 23a Brigata Corazzata (gen. G. W. Richards), e il 40° e il 41° battaglione commandos Royal Marines.

818 navi da guerra e da sbarco inglesi, comandate dall’ammiraglio Sir Bertram Home Ramsey, avevano il compito di trasportare l’intera 8a Armata su un fronte di 78 chilometri diviso in cinque spiagge che andavano da Capo Ognina a Punta Castelluzzo e di proteggere l’azione dei commandos a sud di Siracusa, nella penisola della Maddalena, dove il gruppo del col. Slater e due gruppi S.A.S. (Spiecial Air Service) dovevano appoggiare l’azione dei paracadutisti.

La Marina alleata, agli ordini dell’ammiraglio Lord Andrew Cunningham, disponeva di 2.590 navi di ogni grandezza 1.614 britanniche, 945 americane, 10 olandesi, 9 polacche, 7 greche, 4 norvegesi ed 1 belga), di cui 280 navi da guerra: 6 corazzate, 2 portaerei, 3 monitori, 15 incrociatori, 128 cacciatorpediniere ( 6 greci e 3 polacchi), 26 sottomarini (1 olandese e 1 polacco), 211 cargo e navi da trasporto, 1.800 mezzi da sbarco (2).

L’aviazione, infine, poteva contare su 5.000 aerei, di cui 822 da trasporto C47 Dakota, Halifax e Albernarle, 900 alianti Waco e Horsa, i bombardieri pesanti B17 Vickers Weellington, B24, B25 e B26, i caccia bombardieri Bristol Beaufighter, P38 Lightning, Curtiss P40 e i caccia Spitfire operativi dalle piste tunisine ricavate nel deserto tra Kairouan e Susa.

Gli ufficiali invasori erano dotati di ottime carte topografiche ad ampia scala. Erano quelle prodotto dall’Istituto Geografico Militare che gli Alleati non ebbero difficoltà a reperire e quindi a ristampare con inchiostri colorati che le rendevano più leggibili e più ricche di indicazioni sulle caratteristiche della linea di costa. Grazie a ciò chi sbarcava sapeva già che tipo di litorale avrebbe trovato,se ci fossero bunker in prossimità del mare e quali strade avrebbe trovato per proseguire verso nord. Informazioni che provenivano dalle numerose spie inglesi che operavano in Sicilia e dal meticoloso lavoro di impavidi incursori, sbarcati nottetempo dai sommergibili per eseguire i necessari rilievi.



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(1)     Il gen. Middleton era stato preside dell’Università della Lousiana. La 45a divisione di fanteria era costituita con reparti della Guardia Nazionale dell’Oklahoma. Gli uomini che comprendeva erano gente dura, ma ancora inesperta alla guerra: cow boys e pellerossa dei territori più selvaggi degli Usa .

(2)     Cfr. E. Costanzo, Sicilia 1943 –Breve storia dello sbarco alleato, Catania 2003, p. 41.







FORTIFICAZIONI A LICATA 

di Carmela Zangara

Lungo la costa di Licata le forze dell’Asse erano costituite da 8 battaglioni in prima linea e 3 in seconda linea, facente capo alla 207 divisione costiera del generale Schreiber (21 Km di fronte da punta Due Rocche a Torre di Gaffe) appartenente al XII Corpo di Armate del generale Mario Arisio. In particolare:

il 139° reggimento costiero, 

il 538° battaglione - di cui faceva parte il treno armato ( 4 pezzi 76/40) -

 il 419° e il 390° battaglioni con il CCXXXII gruppo (batteria 1 e 2 100/22) e il CXLV( batteria 152 105/27, batteria 198 105/27, batteria 79 75/34);

 la XVIII brigata costiera (58 Km di fronte da Punta Braccetto a Punta Due Rocche)facente capo al XVI Corpo d’Armata. 

Un totale di 11 battaglioni dell’Asse, contro 27 degli avversari, disseminati lungo la costa, nei fortini a valle e sul crinale delle colline adiacenti al mare  

fonte Wikipedia  

treno armato sulla banchina del porto (538° battaglione)   


La difesa costiera  - affidata alla 207 Divisione  del generale Ottorino Schreiber- si estendeva da Licata (Punta Due Rocche) sino  a Sciacca. Della  Divisione facevano parte il 138° e 139° reggimento fanteria mobile Assietta con il 177 bersaglieri ed il 12 Raggruppamento artiglieria. Alla Piazza di Licata apparteneva però soltanto il 139° reggimento comandato dal tenente colonnello Antonino  Galfo, la cui  sede di Comando era presso  il caseggiato della masseria Urso in contrada Calandrino.



Sia il 138° che il 139° facevano parte del 29° Reggimento fanteria Pisa  che durante la seconda guerra mondiale a seguito della riorganizzazione delle divisioni italiane venne inquadrato nella 26 divisione Assietta.

cartolina del 29° rgt. 

  FORTIFICAZIONI

 La linea di fortificazione creata durante la seconda guerra mondiale lungo il litorale agrigentino  che lambisce il Mediterraneo là dove sbarcò la VII Armata Usa,  è formata da decine e decine di postazioni, i bunker in cemento armato, realizzati tra il 1940 ed il 1943 con un faraonico progetto che aveva il preciso intento di difendere la "Fortezza Europa"da invasione nemica alleata. 

Tali fortini spiccano ancora oggi sui crinali dei poggi e delle alture che costeggiano il mare  quasi a continuare come numi tutelari a vigilare la distesa marina  sull'avvistamneto di navi militari come quando la notte tra il 9 ed il 10 luglio del 1943  agli attoniti militari della 207 Divisione  costiera apparve all'improvviso l' immensa flotta americana del gen Cunningham con le sue 1200 imbarcazioni,  due portaerei, centinaia di scialuppe LCT ed LCV , 4000 bocche da fuoco, pronti a procedere al più grande assalto anfibio che la  storia della seconda guerra mondiale ricordi,  maggiore persino a quello fatto poi in Normandia nel giugno del 1944


Nei 21 km di costa licatese da Punta Due Rocche a Torre di Gaffe nei buker e nei fortini erano appostati  militari dei reparti costieri del CV battaglione mitraglieri di posizione facente capo -in tutto il settore -da Punta Due Rocche a  Sciacca- alla 207 Divisione, 

505° , 516° e 520° Compagnia 


Contrada Conca Ginisi 

 

Interno del bunker



Postazione Torre di Gaffe 



bunker costiero tra Torre di Gaffe e Foce Gallina 




Bunker Foce Gallina 
Nella zona di Torre di Gaffe la difesa era affidata a reparti tedeschi della 15 panzergrenadier della Sizilien che erano di stanza nel caseggiato del barone La Lumia. 







Casamatta località  Sant'Oliva-Conca Ginisi 


Nella zona di Sant'Oliva  era accampato il 1° battaglione  del  29° reggimento di fanteria Assietta con  la Scuderia Pezzi,  la  1, 2, 3 e 4 Compagnia, comandanti il ten. colonnello Pietro Amato,  Mario Chiappone, Iovisetti Angelo. 
Con un'estensione di circa  50.000 metri quadri, ( ettari 5) , l'accampemento  inglobava  fondi rurali requisiti  ai  proprietari: Licata, Antona , Marotta , Federico , Giganti , Marino, Sanfilippo  e Quignones 



 bunker sul poggiolo lungo la statale 115 Licata Torre di Gaffe che precede il rettilineo alla cui sommità sta la casa cantoniera. 




Casamatta risistemata ad uso rurale contrada San Michele 

Casamatta Capo Sella Mollarella  trasformata ad uso abitativo privato
All'epoca dello sbarco alleato la casamatta era sede di un piccolo contingente del 390° rgt. costiero  che subì per primo in Sicilia alle ore 1,45 del 10 luglio l'assato alleato quando nella  baia di Mollarella e nella attigua baia di Poliscia si riversò  il II battaglione del 15° reggimento della VII Armata Usa di Patton  insieme al 3° battaglione Ranger iniziando da questa spiaggia riparata alla vista la conquista della Sicilia.
Si racconta che il contingente di stanza nella casametta che vigilava il mare dall'alto dello scoglio di Capo Sella abbia resistito eroicamente contro il poderoso assalto nemico e che non si sia arreso sparando sino all'esaurimento delle scorte di fuoco, riuscendo ad affondare sei mezzi anfibi rimasti  a lungo a testimonianza della battaglia sulla battigia  e adesso in parte rimossi in parte insabbiati. 
Del tenente che guidava la controffensiva non si sono trovati i resti mentre i  corpi dei suoi uomini sono stati ritrovati poi sui fianchi della collinetta insieme a quelli di nemici caduti su quel caposaldo.
E' soltanto uno dei tanti esempi di resistenza di uomini dell'esercito italiano  che nell'impari lotta ha dato prova di onore e dignità. 
123 i Caduti italiani nel settore di Licata, di cui 66 conosciuti e 57 ignoti; 40 i tedeschi di cui 19 conosciuti e 21 sconosciuti; 173 le forze americane. Gli elenchi sono presenti  nel sito
I caduti americani fuorno sepolti in un apposito cimitero fatto costruire alla periferia della città in contrada Cannavecchia 

FORTIFICAZIONI AD EST DI liCATA 

 Bunker inglobato all'interno di una villetta zona due Rocche. 

Casamatta PIANO CANNELLLE 



Parte posteriore della casamatta di Piano Cannelle

 E' la testimonianza tangibile del degrado dei reperti se non vengono tempestivamente recuperati. 
 Purtroppo se non preservati quali fonti documentarie della storia in generale e della storia licatese in particolare spesso tali manufatti  sotto  le ruspe e i trattori vengono  demoliti.

 Un adeguato intervento a tutale da parte delle autorità competenti  sarebbe auspicabile 

La preservazione del patrimonio storico della seconda guerra mondiale è uno degli obiettivi prioritari dell'Associazione Memento.
 


 

 FORTIFICAZIONI COSTIERE TRA TORRE DI GAFFE E PALMA MONTECHIARO 

 Dopo lo sbarco non indolore della Joss Force nel settore di Licata,  a Torre di Gaffe -la più difficile e la più occidentale delle quattro spiagge da  conquistare, sia  per essere sotto tiro dell'artiglieria italiana posta sulle vicine  alture di Vallone Rio Secco,  sia per le numerose fortificazioni poste lungo la linea costiera che  per la temuta presenza del contingente tedesco della Panzergrenadier -  alle 6 del mattino i tre battaglioni del 7°rgt.Usa- non senso ostacoli per il temuto reimberco-  conquistano la posizione e si attestano sul caposaldo di Case Silliti. Da lì iniza la penetrazione verso occidente, procedendo lungo la statale 115 in  direzione di Palma Montechiaro,  ma durante il percorso pomeriggio i reparti del  7° si scontrano con il 525° bersaglieri proveniente da Agrigento   e il 223° gruppo costiero, entrambi circondati dai carri armati americani vengono sopraffatti. A Palma di Montechiaro il 7° giunge la mattina dell'11 luglio



La linea costiera della 207° Divisione era pertanto guarnita da fortificazioni essendo esposta da sempre per la sua conformazione geografica agli assalti dal mare -ricordiamo la pirateria e le torri di avvistamento. D'altra parte non si sapeva dove lo sbarco sarebbe avvenuto e l'Intelligence aveva ad arte  divulgato notizie su un possibile sbarco sulla costa occidentale senza contare che la stessa traettoria seguita dalle forze alleate durante la navigazione nel Mediterraneo era alquanto fuoriviante. Basti pensare che sia la Forza  H americana sia la Forza  Z inglese -partite il 5 luglio dai porti dell'Africa settentrionale, simularono  di navigare verso occidente e la Spagna la prima, la seconda verso l'Egeo, ripiegando soltanto all'ultimo momento.

Reperti storici sul tratto di costa tra Torre di Gaffe e Palma di Montechiaro

foto di Marcello Grillo

Bunker 
tra Torre di Gaffe e Palma di Montechiaro




Bunker sotto la torretta di Palma Montechiaro








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