LE FORZE CONTRAPPOSTE ALLA VIGLIA
DELLO SBARCO ALLEATO IN SICILIA
FORZE ITALO-TEDESCHE
Alla vigilia dello sbarco l’Italia schierava in Sicilia 230.000
uomini e 1.500 cannoni organizzati nella 6° Armata con sede ad Enna, al comando
del generale Alfredo Guzzoni.
I Reparti
d’armata con capo di stato maggiore il gen.
Emilio Faldella, erano così strutturati: Intendenza (gen. Ugo Abbondanza). Unità a
disposizione: 4ª Div. fanteria motorizzata “Livorno”
(gen. Domenico Chirieleison), 10° raggruppamento
artiglieria semovente da 90/53 (col. Ugo
Bedogni), 505° gruppo artiglieria da 90/53, battaglione del
10° reggimento arditi (maggiore Vito Marcianò),
177° bersaglieri, 1 Btg. costiero bersaglieri, 2 cp moto, 1 btg R35, XXIX
Brigata costiera 136° rgt., XXX gruppo squadroni cavalleggeri “Palermo”, due batterie contraeree, 1
batteria da 75 mm., Gruppi mobili e
Gruppi Tattici.
Il XII Corpo d’Armata, guidato dal gen. Mario Arisio con sede a Corleone e dal 12
luglio gen.
Francesco Zingales, aveva competenza sulla Sicilia
Occidentale, da Licata e Cefalù: 26ª Divisione. Fanteria da montagna "Assietta" (gen. Erberto Papini), 28ª
Divisione Fanteria “Aosta" (gen. Giacomo Romano), 202ª Divisione Costiera (gen. Gino Ficalbi), 207a Divisione Costiera (gen. Ottorino Schreiber), 208a
Divisione Costiera (gen. Giovanni Marciani), dislocata
tra Palermo e Trapani), 136° Reggimento Costiero Autonomo (fra Palermo e S.
Stefano di Camastra), truppe Costiere di C.d.A. di rinforzo, Difesa Porto
"N" (Palermo), 10° Reggimento Bersaglieri (ten. col. Pio Storti),
appartenente al gruppo tattico Schiusa Sclafani, 177° Reggimento Bersaglieri (col. Alessandro Venturi) a disposizione
della 207a Divisione Costiera (gen. De
Laurentis), 51° battaglione Bersaglieri, appartenente al gruppo
tattico controcarro Inchiapparo-Casale, 1° battaglione Bersaglieri controcarro,
, 448° battaglione costiero autocarro, ripartito per cp. nei gruppi mobili “A”, “B”, “C”, 112° battaglione
mitraglieri a disposizione della 208a Divisione Costiera, 102° battaglione
carri del 131° raggruppamento di Fanteria Carristi (50 carri), ripartito per
cp. nei gruppi “A”,
“B”, “C”, 10a squadriglia autoblindo (13 unità), appartenente al gruppo tattico
di Schiusa Sclafani, , 12° raggruppamento di artiglieria di medio calibro su 5
gruppi motorizzati (col. Ferdinando Ainis), 7° gruppo
artiglieria contraerea da 75, 104° battaglione controcarri a disposizione della
207a Divisione Costiera, 19° gruppo Centauro da 105/28, 103° gruppo da 75/27 a traino
meccanico – 12a btr col 10° reggimento Bersaglieri, 110° gruppo da 75/27 a
traino meccanico-2a btr col gruppo mobile “A”, 233° gruppo Centauro da 75/27 a traino meccanico aggregato alla Divisione “Assietta”, tranne la 6a btr aggregata al
gruppo mobile “C”, 133° battaglione semoventi da 47/32, ripartito per cp. nei
gruppi mobili “A”, “B”, “C”, 1° gruppo squadroni cavalleggeri “Palermo”, appartenente al gruppo tattico
Campobello-Ravanusa, un battaglione del Genio..
Il XVI Corpo d’Armata, al comando del
gen.
Carlo Rossi con sede a Piazza Armerina, aveva competenza
sulla Sicilia orientale, da est di Cefalù a Gela: 54ª Divisione Fanteria "Napoli"(gen. Giulio Cesare Conte Gotti Porcinari ), 206ª
Divisione Costiera ( gen. Achille D'Havet), che aveva
il compito di presidiare un settore lungo 132 km., XVIII Brigata Costiera (gen. Orazio Mariscalco), XIX Brigata
costiera (gen. Giovanni Bocchetti), dislocata
da S. Stefano di Camastra fino a Messina, 213ª Divisione Costiera (gen. Carlo Gotti), dislocata fra
Messina e Catania); truppe di C.d.A. di
rinforzo Costiere, Difesa Porto "E" (Catania), 40° raggruppamento di
artiglieria su tre gruppi da 105/28, 2 gruppi da 149/13 (col. Francesco Gennaro), un
raggruppamento di artiglieria di medio calibro su 5 gruppi motorizzati, 12°
battaglione mitraglieri, 11° gruppo artiglieria contraerea da 75, un
battaglione del Genio, 101° battaglione carri del 131° Reggimento Fanteria
Carrista (50 carri), CCXXXIII battaglione semovente da 47/32 (n. 15 unità),
raggruppamento mobile Est su 5 gruppi (D, E, F, G, H).
La
difesa costiera era affidata ai reparti costieri (3 comandi piazze militari, 2
comandi porto, 5 divisioni, 2 brigate e un reggimento), il cui compito era
limitato alla sola vigilanza, poiché si trattava di unità prive di automezzi ed
incapaci di contrattaccare.
Una divisione costiera
aveva un organico di 8 mila uomini, divisi in 8
battaglioni di fanteria e 14 batterie con complessivi 56 pezzi di
artiglieria. Una brigata aveva, invece, un organico di 5 battaglioni di frontiera
e poteva contare su 8 batterie con 32 pezzi.
Queste unità erano state
costituite con richiamati siciliani delle classi più anziane (molti superavano
anche i 35 anni), scarsamente addestrati e peggio equipaggiati. Questi soldati
occupavano le scarse fortificazioni costruite sulle coste e nell’immediato
entroterra, costituite da casamatte senza blindatura, da trinceramenti, parte
in cemento e parte in scavo e reticolati con limitati campi minati. Questi
uomini erano armati di moschetti 91 e di fucili mitragliatori Breda modello 30 di facile inceppamento
e di bombe a mano SRCM che facevano più rumore che danno.
Le 6a Armata portroppo
soffriva delle solite carenze delle forze armate italiane. Disponeva, infatti,
di pochi e ormai vecchi carri armati, in gran parte ricevuti dalla Commissione
dell’armistizio con la Francia dopo la Grande Guerra. Si trattava di vecchi
Renault non solo privi di pezzi di ricambio, ma anche dotati di una corazzatura
che resisteva appena alle pallottole di fucile. Del tutto inconsistente ed
antiquata era l’artiglieria anticarro, in gran parte risalente alla prima
guerra mondiale e alla guerra libica. A questa si univano alcuni pezzi
polacchi, preda bellica dei tedeschi sul fronte orientale. L’artiglieria
migliore era stata persa in Russia. La fanteria era priva di motorizzazione. Le
spiagge non erano state sufficientemente minate né erano state munite da veri
sbarramenti antisbarco. Insufficienti i fortini e le casematte costruite lungo
le coste e a difesa delle principali arterie stradali. I fortini, in
particolare, funzionavano da avamposti isolati. Avevano una scarsa
autonomia di fuoco, senza alcun riparo per gli attacchi alle spalle e
difettavano di collegamenti telefonici. Lo spessore dei loro muri, inoltre,
poteva facilmente essere sbriciolato dai cannoni di medio calibro. Molti,
inoltre, erano troppo vicini al mare ed esposti alle micidiali bordate dalle
navi da combattimento. Insufficienti erano anche i nidi di mitragliatrici.
Complessivamente a difendere le coste, compresi i rincalzi e le riserve,
c’erano schierati per la fanteria mediamente 36 soldati per chilometro e una
mitragliatrice ogni cinque chilometri, mentre l’artiglieria aveva potuto
mettere in campo solo una batteria per ogni 8-10 chilometri. E’ del tutto
evidente che con questi esigui ed antiquati mezzi non si poteva respingere una
forza alleata costituita da migliaia di soldati dotati di potenti e moderni
mezzi offensivi. Mancavano persino le scarpe per i soldati. Quelle nei
magazzini siciliani andavano dal 44 in poi e non erano utilizzabili. Ne furono
spedite altre 70 mila paia, con i numeri giusti, ma giunte alla stazione di
Catania mentre infuriava un attacco aereo, furono trafugate. Assai carente era
pure il vestiario per i soldati, molti dei quali assai spesso se avevano i calzoni,
non avevano invece la giubba. A ciò si unisce l’ormai debole morale delle
truppe italiane a seguito delle varie sconfitte in Africa, da El
Alamein alla resa in Tunisia, e della perdita di Pantelleria e di Lampedusa
e dei massicci bombardamenti a tappeto che martellavano ripetutamente i
principali centri dell’isola, tra cui Palermo, Catania, Caltanissetta e Comiso,
che ne avevano sgretolato il tessuto urbanistico. La logica di tali
bombardamenti rispondeva alla linea imposta dal Foreign Office a Casablanca e
accettata dagli americani. Gli Inglesi, infatti, erano convinti che così
facendo si piegava il morale degli italiani con il terrore, con i massacri e
con le distruzioni e questa scelta doveva durare con fermezza sino al D-Day.
Le incursioni aeree sulla
Sicilia erano iniziate sin dalla dichiarazione di guerra. Nel giugno del 1940
l’iniziativa fu presa dagli aerei francesi che, giungendo dalla Tunisia,
avevano come obiettivo Palermo e Trapani. Neutralizzata la Francia,
incominciarono a colpire la Sicilia gli aerei inglesi che arrivavano quasi
sempre di notte, quando la caccia italiana non si alzava in volo e la difesa
delle città era affidata ad una insufficiente controaerea. L’intensità dei raid
aumentò nel 1942. Con l’inizio del 1943 entrarono in azione i potenti B-24,
chiamati Liberator. La mancanza di
calcestruzzo aveva impedito la costruzione di veri rifugi e pertanto la
gente ricorreva alle cantine, ai sottoscale ed ironia della sorte venne a
mancare anche l’acqua e il carburante per le autobotte dei Vigili del Fuoco.
Con la primavera del 1943 fu tale
il dominio dell’aria da rendere superflua la precauzione degli anglo-anericani
di presentarsi con il buio. Peraltro i pochi cannoni disponibili si rivelarono
inutili contro aerei che volavano a 8-10 mila metri di quota.
Nella classifica dei
bombardamenti il primo posto spetta a Catania con 87 incursioni, seguita da
Palermo con 69, Messina 58, Augusta 43, Trapani 41, Siracusa 36, Ragusa 27,
Porto Empedocle 21, Licata 19, Agrigento 17, Marsala 16, Castelvetrano 13,
Pozzallo, Comiso e Gela 12, Sciacca 10, Caltanissetta 6, Acireale 5, Avola,
Gerbini, Ispica, Lentini e Magnisi 3. Le bombe, seppur per una volta, non
risparmiarono Biancavilla, Pachino, Scicli, Noto, Cassibile, Milo.
Complessivamente fu Messina la città più bersagliata per la sua posizione
strategica. Infatti nei primi sei mesi del 1943 ricevette 2056 tonnellate di
bombe.
I bombardamenti più
sconvolgenti li subì Palermo il 18 aprile e il 9 maggio 1943. Nel primo le
bombe centrarono il rifugio di piazza Sett’Angeli vicino la cattedrale. Le
macerie seppellirono centinaia di donne, bambini ed anziani. Nel secondo, due
distinte ondate di 59 Liberator provocarono più di tre mila morti. Il numero
esatto, tuttavia, rimase ignoto dato che molti corpi non furono mai recuperati.
L’8 luglio 1943 fu colpita Catania. I morti furono centinaia.
Alle truppe di
terra si aggiungono le Piazze Militari della Marina, legioni e coorti costiere
autonome, i treni armati di Siracusa, Catania, Licata e Porto Empedocle nonché
il Comando dell'Aeronautica della Sicilia (gen.
di Div. aerea Adriano Monti) e la Difesa contraerea
territoriale
L’Aeronautica
Militare disponeva di 200 velivoli e poteva garantire solo una debole copertura
aerea rispetto alla smisurata forza aerea nemica di oltre 420
cacciaparcheggiati a Malta da dove le
squadriglie decollavano 24 ore su 24 ore in appoggio agli squadroni di
bombardieri che arrivavano dall’Africa con l’ordine di spianare l’isola e pur
tuttavia, nonostante le giornate di vero inferno nel cielo di Sicilia, i caccia
italiani e tedeschi non mancarono di coprirsi di gloria. Il 4 luglio gli aerei
italiani effettuarono ben 212 missioni, abbattendo 22 aerei nemici e perdendone
due propri. Alla vigilia dello sbarco i caccia italiani avevano abbattuto 53
aerei alleati, mentre altri 93 erano stati intercettati e abbattuti dai caccia
tedeschi.
Il nocciolo duro delle Forze dell’Asse era
costituito dalle due divisioni germaniche con complessivi
40.000 uomini al comando del feldmaresciallo Albert Kesserling distribuiti
tra la 15a divisione panzergrenadier: Abteilungskommandeur Oberstleutnant: Eberhard Roth (dislocata
nella Sicilia Occidentale), la divisione corazzata Hermann Goering: gen. Paul Conrath (dislocata ad oriente della
Sicilia) e la 29a divisione panzergrenadier. La forza aera tedesca era
costituita da 320 aerei. Ma tra queste divisioni e il comando italiano c’era un quasi totale
scollamento
Le foze navali
che gli Alleati si sarebbero potuti trovare di fronte erano ancora temibili.
Infatti la R. Marina italiana aveva a disposizione 6 corazzate, di cui 3
modernissime, 7 incrociatori, 48 sommergibili e 75 tra cacciatorpediniere,
motosiluranti ed unità di scorta. Non aveva però portaerei e le navi non
disponevano di radar. Ma questo potenziale offensivo era però reso poco
pericoloso non solo dalle discutibili scelte fatte dallo Stato Maggiore della
Regia Marina. Non è vero che mancasse il carburante. La disponibilità di nafta
alla vigilia dello sbarco in Sicilia ammontava a 58 mila tonnellate, sufficienti
per un mese di navigazione. A difettare era la voglia di combattere, come
accadeva dall’11 giugno 1940, dato che i vertici della Marina si rifiutavano di
andare in battaglia. Eccesso di prudenza, eccesso di lungimiranza, o, molto più
banalmente, rispetto di intese con il nemico tanto ferree quanto
inconfessabili? Basti pensare come l’aviazione alleata tra il 1 giugno e il 9
luglio 1943 rase al suolo città e postazioni militari, ma non sgangiò neppure
per sbaglio una bomba contro i porti di La Spezia, Genova e Taranto dove le
navi italiane dondolavano in bella evidenza. In Sicilia, per questo motivo, a
difendere le coste erano presenti solo
piccole unità per il pattugliamento costiero e qualche sommergibile, assai
temuto dagli Alleati.
A cura di Calogero Carità
FORZE ALLEATE
Gli alleati misero in campo il XV gruppo d’armate il cui comando venne
affidato al generale britannico Harold Alexander, mentre il comando
delle Forze Alleate nel Mediterraneo venne affidato al generale americano Dwight
David Eisenhower. Il XV gruppo d’armate comprendeva la 7a Armata
americana e l’8a Armata britannica, un’enorme e potente macchina bellica che
poteva contare per l’assalto alle coste siciliane su 181 mila uomini ben armati
e ben addestrati ( di cui 115 mila anglo-canadesi e 66 mila americani), che
entro pochi giorni diventeranno ben 490 mila, su 2.590 navi, 2.519 aerei, 1.800
cannoni, 600 modernissimi carri armati e 14 mila veicoli e soprattutto su
rifornimenti illimitati di munizioni, viveri e sussistenza. Il 15% delle forze
della 7a Armata era costituito da oriundi siciliani.
La 7a Armata (West Task Force), affidata al comando del gen.
Gerge Smith Jr. Patton, aveva come zona di competenza da Licata a Scoglitti
per circa 80 km di costa e si articolava nei seguenti reparti d’armata: 2a Divisione
corazzata (gen. Hugh Gaffey), l’82a Divisione Aviotrasportata (gen.
Matthew Ridgway), la 9a Divisione Fanteria (gen. Eddy Manton), il 4°
Tabor Goums (battaglione marocchino). Al II Corpo d’Armata, agli ordini del gen.
Omar Bradley, che Alexander considerava il migliore comandante americano
sul campo, un tattico eccellente ed equilibrato, l’antitesi di Patton,
afferivano la Force Cent con la 45a
Divisione di Fanteria (gen. Troy Middleton) (1), detta “Thunderbird” (Uccello di tuono) dal
totem indiano riprodotto nelle mostrine che con il 753° battaglione corazzato
aveva assegnata la zona di sbarco di Scoglitti e da lì procedere verso
Caltagirone e Centuripe. La 45a era una formazione della Guardia Nazionale con
i reggimenti di fanteria incentrati originariamente in Oklahoma, Colorado,
Arizona e non aveva ancora ricevuto il
battesimo del fuoco. Era stata addestrata ed equipaggiata negli U.S.A. presso
la base di Fort Devens. La Force Dime
con la 1a Divisione di Fanteria (gen. Terry Allen), detta “The Big Red One” (Grande Uno Rosso) che,
con il 1° e il 4° battaglione Ranger, aveva assegnata la zona di sbarco di Gela
e da lì procedere verso Caltanissetta. La 1a divisione di fanteria era
costituita da veterani e ci teneva a continuare l’orgogliosa tradizione risalente
alla Grande Guerra. Era sbarcata in Africa settentrionale ed aveva combattuto
per tutta la durata della campagna africana. Infine la Force Joss che con la 3a
Divisione di Fanteria “Marne” e il 3°
battaglione Ranger (gen. Lucian Jr.Truscott) aveva assegnata la
zona di sbarco di Licata e da lì procedere verso Agrigento, Sciacca e Palermo.
La 2a Divisione corazzata e un reggimento di fanteria, restavano
provvisoriamente imbarcati, per essere utilizzati come riserva tattica da
impiegare nei punti più critici. Entrambi questi reparti sbarcheranno
successivamente sulle spiagge di Licata.
La flotta dell’ammiraglio Henry Kent Hewit, dotata di 580 navi e 1.124
mezzi da sbarco aveva il compito di trasportare le ruppe e proteggere lo sbarco
della 7a Armata del generale Patton sul litorale ovest, tra Punta Braccetto e
Torre di Gaffe.
L’8a Armata (Est Task Force), al comando del gen. Bernard Lau Montgmery aveva come zona di competenza dal golfo di Noto a Punta Castelluzzo (ad ovest di Capo Passero), per oltre 50 km di estensione.
Reparti d’Armata: 1a Divisione Aviotrasportata (gen. George Frederik
Hopkinson) con obiettivo Siracusa, la 46a Divisione di fanteria, la 78°
Divisione di Fanteria (gen. Vivian Evelegh) con obiettivo Siracusa.
XIII Corpo d’Armata (gen. Miles Dempsey), costituito dalla 5a
Divisione di Fanteria (gen. Berney Ficklin) con l’ordine di procedere
verso Cassibile, la 50a Divisione di Fanteria (gen. Sidney Kirkman) con
obiettivo Avola, la 4a Brigata corazzata (gen. John Currie), 3°
battaglione commandos e lo Special Raiding Squadron.
XXX Corpo d’Armata (gen. Oliver Leese) formato dalla 1a Divisione
di Fanteria canadese (gen. Guy Simonds) con obiettivi Capo Passero e
Punta Braccetto, la 51a Divisione di Fanteria “Higlanders” (gen. Douglas Wimberley) con direzione Pachino,
231a Brigata autonoma “Malta” (gen. Robert
Urquhart) con direzione verso zone a nord di Pachino, 23a Brigata Corazzata
(gen. G. W. Richards), e il 40° e il 41° battaglione commandos Royal
Marines.
818 navi da guerra e da sbarco inglesi, comandate dall’ammiraglio Sir
Bertram Home Ramsey, avevano il compito di trasportare l’intera 8a Armata
su un fronte di 78 chilometri diviso in cinque spiagge che andavano da Capo
Ognina a Punta Castelluzzo e di proteggere l’azione dei commandos a sud di
Siracusa, nella penisola della Maddalena, dove il gruppo del col. Slater e due
gruppi S.A.S. (Spiecial Air Service) dovevano appoggiare l’azione dei
paracadutisti.
La Marina alleata, agli ordini dell’ammiraglio Lord Andrew Cunningham,
disponeva
di 2.590 navi di ogni grandezza 1.614 britanniche, 945 americane, 10 olandesi,
9 polacche, 7 greche, 4 norvegesi ed 1 belga), di cui 280 navi da guerra: 6
corazzate, 2 portaerei, 3 monitori, 15 incrociatori, 128 cacciatorpediniere ( 6
greci e 3 polacchi), 26 sottomarini (1 olandese e 1 polacco), 211 cargo e navi
da trasporto, 1.800 mezzi da sbarco (2).
L’aviazione, infine, poteva contare su 5.000 aerei, di cui 822 da
trasporto C47 Dakota, Halifax e
Albernarle, 900 alianti Waco e
Horsa, i bombardieri pesanti B17 Vickers Weellington, B24, B25 e B26, i caccia bombardieri Bristol Beaufighter, P38 Lightning, Curtiss P40 e i caccia Spitfire
operativi dalle piste tunisine ricavate nel deserto tra Kairouan e Susa.
Gli ufficiali invasori erano dotati di ottime carte topografiche ad ampia
scala. Erano quelle prodotto dall’Istituto Geografico Militare che gli Alleati
non ebbero difficoltà a reperire e quindi a ristampare con inchiostri colorati
che le rendevano più leggibili e più ricche di indicazioni sulle
caratteristiche della linea di costa. Grazie a ciò chi sbarcava sapeva già che
tipo di litorale avrebbe trovato,se ci fossero bunker in prossimità del mare e
quali strade avrebbe trovato per proseguire verso nord. Informazioni che
provenivano dalle numerose spie inglesi che operavano in Sicilia e dal
meticoloso lavoro di impavidi incursori, sbarcati nottetempo dai sommergibili
per eseguire i necessari rilievi.
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(1)
Il gen. Middleton era stato preside
dell’Università della Lousiana. La 45a divisione di fanteria era costituita con
reparti della Guardia Nazionale dell’Oklahoma. Gli uomini che comprendeva erano
gente dura, ma ancora inesperta alla guerra: cow boys e pellerossa dei
territori più selvaggi degli Usa .
(2)
Cfr. E. Costanzo, Sicilia 1943 –Breve storia dello sbarco alleato, Catania 2003, p.
41.
FORTIFICAZIONI A LICATA
di Carmela Zangara
Lungo la costa di Licata le forze dell’Asse erano costituite da 8 battaglioni in prima linea e
il 139° reggimento costiero,
il 538° battaglione - di cui faceva parte il treno armato ( 4 pezzi 76/40) -
il 419° e il 390° battaglioni con il CCXXXII gruppo (batteria 1 e 2 100/22) e il CXLV( batteria 152 105/27, batteria 198 105/27, batteria 79 75/34);
Un totale di 11 battaglioni dell’Asse, contro 27 degli avversari, disseminati lungo la costa, nei fortini a valle e sul crinale delle colline adiacenti al mare
treno armato sulla banchina del porto (538° battaglione)
La difesa costiera - affidata alla 207 Divisione del generale Ottorino Schreiber- si estendeva da Licata (Punta Due Rocche) sino a Sciacca. Della Divisione facevano parte il 138° e 139° reggimento fanteria mobile Assietta con il 177 bersaglieri ed il 12 Raggruppamento artiglieria. Alla Piazza di Licata apparteneva però soltanto il 139° reggimento comandato dal tenente colonnello Antonino Galfo, la cui sede di Comando era presso il caseggiato della masseria Urso in contrada Calandrino.
Sia il 138° che il 139° facevano parte del 29° Reggimento fanteria Pisa che durante la seconda guerra mondiale a seguito della riorganizzazione delle divisioni italiane venne inquadrato nella 26 divisione Assietta.
FORTIFICAZIONI
La linea di fortificazione creata durante la seconda guerra mondiale lungo il litorale agrigentino che lambisce il Mediterraneo là dove sbarcò la VII Armata Usa, è formata da decine e decine di postazioni, i bunker in cemento armato, realizzati tra il 1940 ed il 1943 con un faraonico progetto che aveva il preciso intento di difendere la "Fortezza Europa"da invasione nemica alleata.
Tali fortini spiccano ancora oggi sui crinali dei poggi e delle alture che costeggiano il mare quasi a continuare come numi tutelari a vigilare la distesa marina sull'avvistamneto di navi militari come quando la notte tra il 9 ed il 10 luglio del 1943 agli attoniti militari della 207 Divisione costiera apparve all'improvviso l' immensa flotta americana del gen Cunningham con le sue 1200 imbarcazioni, due portaerei, centinaia di scialuppe LCT ed LCV , 4000 bocche da fuoco, pronti a procedere al più grande assalto anfibio che la storia della seconda guerra mondiale ricordi, maggiore persino a quello fatto poi in Normandia nel giugno del 1944
Nei 21 km di costa licatese da Punta Due Rocche a Torre di Gaffe nei buker e nei fortini erano appostati militari dei reparti costieri del CV battaglione mitraglieri di posizione facente capo -in tutto il settore -da Punta Due Rocche a Sciacca- alla 207 Divisione,
505° , 516° e 520° Compagnia
Contrada Conca Ginisi
FORTIFICAZIONI AD EST DI liCATA
Bunker inglobato all'interno di una villetta zona due Rocche.La preservazione del patrimonio storico della seconda guerra mondiale è uno degli obiettivi prioritari dell'Associazione Memento.
Reperti storici sul tratto di costa tra Torre di Gaffe e Palma di Montechiaro