martedì 9 maggio 2023


BOMBARDAMENTI A LICATA

 Nell'arco di tempo che va da gennaio a giugno,  ben 13 furono i bombardamenti, di cui cinque a gennaio,  tre a febbraio, poi il 25 aprile- giorno della visita del principe ereditario- due a maggio e due a giugno. Nei giorni che precedettero lo sbarco alleato della VII Armata americana di Patton, i bombardamenti divennero  ravvicinati: il  5 luglio, giorno della partenza della flotta americana dalle coste del Nord Africa, furono quattro: la prima incursione aerea dalle tre alle quattro circa; la seconda, dalle 9,50 alle 10,15; la terza dalle 12,45 alle 13,00 e l'ultima dalle 13,15 alle 13,30. Il 6  Licata subì un bambardamento durato dalle 9,30 alle 9,45; infine l'otto ci furono tre incursioni, rispettivamente alle 7,45, alle 11,50 e alle 12,00.

Il bombardamento del 7 gennaio delle ore 14,00 - che aveva come bersaglio la fabbrica della Montecatini- non si limitò a colpire la zona industriale come denunciato dal bollettino ufficiale, ma anche  la zona della stazione del Pisciotto danneggiando la conduttura dell’acqua. Lo si evince da una successiva comunicazione della Prefettura.

All’epoca il Commissario prefettizio di Licata era Attanasio,  la cui firma è apposta su quasi tutti i  telegrammi , inviati per conoscenza alla Regia Prefettura ed al Questore.

7 gennaio “ Ore quattordici e minuti zero cinque aerei nemici hanno sganciato bombe dirompenti sopra fabbrica Montecatini. Nessuna vittima et non rilevanti danni materiali.”

Dello stesso giorno è un altro telegramma: “ Odierno bombardamento aereo nemico avere danneggiato conduttura acqua Pisciotto entro recinto questa stazione ferroviaria” in A.S.L. Carpetta N° 437 fascicolo I classe VIII

 La comunicazione ufficiale però viene data il giorno successivo (8 gennaio) sul bollettino N° 958 (F. Giorgio)

Il prefetto di Agrigento,  dott. Caboni,  appare particolarmente preoccupato per particolari ordigni, apparentemente inoffensivi, a forma di matita tascabile che venivano raccolti dagli ignari bambini ed esplodevano nelle loro mani. La nota del 14 gennaio del 43  avverte: “Viene segnalato che tra i vari ordigni esplosivi che il nemico lascia cadere sul nostro territorio ve ne sono anche taluni a forma e peso di una matita tascabile di metallo. Pregasi di portare quanto sopra a conoscenza della popolazione senza però darvi particolare rilievo”

 Il fatto è avvalorato dalla testimonianza della signora Tilde Navarra che testualmente dice: “ Ricordo di aver visto ricoverare nel palazzo Urso Ventura , sede della Croce Rossa diversi bambini mutilati. Si diceva che avessero raccolto degli ordigni a forma di penna, lanciati dagli aerei americani, ordigni che poi erano esplosi nelle loro mani.”

La stessa questione viene segnalata al Podestà dal Prefetto di Agrigento con la nota “ ordigni esplosivi in forma di oggetti inoffensivi vengono lanciati dal nemico da  aeroplani.”

Già da tempo il problema degli ordigni bellici era all’attenzione degli organi competenti. Del 19  giugno del 42 è la segnalazione della  Prefettura  di Agrigento di ordigni a forma di cioccolatino rinvenuti nelle campagne; e del 17 agosto sempre del 42 la segnalazione che  l’aviazione britannica e russa aveva fatto uso di tavolette incendiarie, bombe al magnesio, fosforo,e sodio puro; queste ultime  per infiammare la nafta nell’acqua.

Ormai Licata è sottoposta insistentemente al fuoco nemico.

Il 21 gennaio il Regio Ufficio P.S. di Licata segnala al Prefetto ed al Questore: “ Ore 14  Aerei nemici hanno mitragliato, spezzonato et bombardato località Fontanelle et Montecatini Punto Lamentonsi 5 feriti leggieri et danni lieve entità” firmato Ufficiale pubblica Sicurezza Attanasio spedito ore 16,01  A.S.L. 437 fascicolo I Classe VIII

Il 22 gennaio: “ Stamani ore 7 aerei nemici hanno bombardato località Safarella ponte sul Salso raffineria Zolfi Unione Siciliana fabbrica Montecatini et località Ginisi ove hanno mitragliato treno merci Punto  Nessuna vittima né danni rilevante importanza. ” Firmato Attanasio. idem

23 gennaio “ Stamani ore nove e minuti trentacinque aerei nemici hanno sganciato bombe periferia questa città senza causare né danni né vittime punto Risulta mitragliata auto tedesca et feriti tre militari di cui uno grave” firmato  Attanasio”  idem 

Nessun bollettino ufficiale riporta notizia di queste tre incursioni aeree. Il 25 gennaio, il Bollettino N° 974 riporta  la dicitura generica : "incursione sulla città" (F. Giorgio)

Qualche giorno di tregua, poi il 28 dello stesso mese la città  è ancora sotto il fuoco dei bombardamenti: “Stamani ore sei e minuti trenta aerei nemici hanno sganciato bombe località Poggio Cuti. Né vittime né danni Podestà Curella”

 6 febbraio: “Ore nove e  minuti dieci località Poggio di Guardia aerei nemici mitragliavano bassa quota treno viaggiatori Licata Gela ferendo gravemente fuochista treno et leggermente macchinista altro ferroviere et due viaggiatori.” Firmato Podestà Curella.'

Anche queste due incursioni passano sotto silenzio, non ve n' è traccia nel testo di F. Giorgio, l'unico che abbia tabulato capillarmente i fatti. 

Giorno 7 febbraio : “Stamani ore otto e minuti trenta aerei nemici hanno mitragliato località Pozzillo treno passeggeri Licata Canicattì et lanciato spezzoni dirompenti non esplosi Punto Stessi aerei sganciavano località Torre di Gaffe altri spezzoni caduti in mare et mitragliavano nessun danno né vittime.” firmato Podestà Curella. Bollettino N° 988 del giorno 8 febbraio idem 437

 Sostanzialmente vengono mirati  i luoghi dove avverrà lo sbarco degli Alleati, luoghi che i Capi di Stato Maggiore, riuniti ad Algeri avevano già individuato. Ed è a questo punto che il Podestà  di Licata emana un decreto che è un atto di regolamentazione dello stato di emergenza quasi a temere che tale evenienza possa per l’avvenire verificarsi con maggiore frequenza. Si tratta dell’ordinanza N° 13 del 16  febbraio che definisce  la rete  principale di viabilità del centro - circoscritta a Corso Filippo Re Capriata, Corso Roma, Corso Umberto, Corso Vitt. Emanuele e Piazza dell’Impero - area che deve  essere “prontamente  sgomberata al momento dell’allarme così che tutti i pedoni portandosi nelle vie secondarie lascino libero tale spazio agli automezzi della protezione antiaerea che in caso di emergenza avrebbero potuto percorrerla  a notevole velocità”

 Il 23 febbraio arriva l’ordine di mobilitazione civile dei cittadini “Reclutamento e addestramento anche degli uomini dai 56 ai 70 anni obbligati al servizio del lavoro. …Gi uffici anagrafici devono fornire elenchi degli uomini compresi in tale fascia di età.” Firmato Prefetto Caboni.

Il 25 Aprile, domenica di Pasqua  ancora un bombardamento: “ Stamani ore 11 et minuti cinquanta apparecchio americano sorvolava improvvisamente senza allarme questo abitato sganciando due serbatoi di cui uno con benzina che incendiava diverse abitazioni in Via Solferino angolo Via Addis Abeba Punto Incendio prontamente domato lamentasi un morto et sei feriti di cui due gravi.”  Podestà Curella (Bollettino N° 1066 del 26 aprile) A.S.L. 437

 Di tale bombardamento abbiamo la testimonianza del signor Vicari che fu ferito mentre bombardavano il ponte

All’epoca avevo 15 anni e ricordo che il giorno di Pasqua a mezzogiorno in punto, passò uno stormo di aerei che bombardò il ponte…. La vidi precipitare giù e priam che suonasse l’allarme mi ero disteso per terra sotto il vicino ponticello. Un frammento di scheggia mi raggiunse conficcandosi nella gamba destra. “

  Ed anche la testimonianza di più persone

"In Corso Serrovira, vicino allo stabilimento Verderame, una casa fu colpita da bomba. Vi abitava una sarta che aveva una bimba appena nata, la quale rimase miracolosamente  illesa nella sua culla, posta  in un angolo, tra un brandello di muro  e l'altro, e lo stesso pavimento sbriciolato in più punti. " 

I morti del bombardamento del 25 aprile  furono sicuramente tre, elemento dedotto da una denuncia per danni di guerra del 1° agosto 43, - regolarmente vistata dal Maggiore Toscani - in cui il signor Incorvaia Antonino  lamenta la parziale demolizione della sua casa di Via Collegio N°13 e  la morte della madre, del padre  e di una sorella.

Ma vi è anche l'ulteriore telegramma del Podestà: "Seguito telegramma 25 aprile scorso comunico che numero decessi causati incursione apparecchio americano est salito a quattro et feriti sei." 

Il 9 maggio, domenica  ancora un’ incursione aerea. (Bollettino N° 1080) E' preso di mira il quartiere Oltreponte aprendo una voragine nella zona. Viene danneggiata la casa di Burgio Calogero. Anche di questo bombardamento abbiamo la testimonianza di Vicari che parla di almeno cento aerei. Due i morti accertati: Florio Agata morta l'11 maggio all'ospedale della C.R,I.  e Lombardo Angelo

Il 25 maggio un’altra incursione aerea  danneggia le case di Via Lunga N° 28 e cortile Quarto N°5 di proprietà di Russo Mariangela. Inoltre le case di Giglio Francesco, Pisano Giuseppe e Randazzo Arturo che chiedono al Podestà alloggio in qualità  di sfollati.

Di questo bombardamento - che non viene citato in alcun bollettino- i danni sono rilevanti. Se ne trova traccia nella deliberazione N° 384 in cui si impegna la spesa di L: 1097 a favore del  Caffè Ristorante Sicilia per vitto somministrato alle famiglie incursione aerea del 25- 05-43;e di L. 9220 a favore di Mulè Silvestro per alloggio fornito ai danneggiati incursione aerea del 25-5-43.

 Cammilleri Gina così vive quel bombardamento: “Alla fine del mese di Maggio del 43 ci fu un bombardamento aereo che ha colpito tutto l’arco di costa di Licata, cioè da Torre di Gaffe a Falconara. Le colonne d’acqua salivano a grande altezza una dopo l’altra tutte vicine come le colonne delel chiese. Abbiamo capito che era un controllo alle spiagge per vedere se erano minate.”

Fin dal 14 aprile erano state assegnate maschere antigas a tutti gli stabilimenti che da un elenco di archivio così rislutano:  Società anonima Montecatini, Società anonima Forza e Luce,  Molini  e Pastifici: Hercules di Pontillo che aveva alle dipendenze 10 operai; “M.Pompei” dei Fratelli Armenio con tre dipendenti, S. Giuseppe con 24 dipendenti, Manuguerra Pietro con due dipendenti tra cui una donna, Malifitano G. Battista con tre dipendenti, Bona e Taliento con quattro dipendenti, Pintacorona Giovanni e Caffarello Angelo con tre dipendenti, De Caro e Cacciato, Manuguerra e Farruggio; inoltre ai cementifici:  Sapio G e fratelli Cambiano; ai laterizi di Schembri Baldassare, alla fabbrica di ghiaccio di Bonsignore, al Cinema Teatro Re; infine alle ditte: Banca S: Angelo, Banco di Sicilia, Cassa di Risparmio, Banca agricola commerciale, esattoria comunale, consorzio, ufficio imposte dirette, compagnia porto, ufficio registro, dogana, stazione centrale, stazione porto, ufficio postale, ufficio postale porto, Pretura, Ginnasio, Avviamento, Liceo classico comunale, scuola elementare, Fascio combattimento. 

 E’ del 27 giugno  il telegramma del Prefetto Caboni che denuncia il lancio da parte di aerei nemici di “ numerosi manifestini di propaganda che sono stati raccolti dalla popolazione.” Con l’ordine di distruggerli.

A questo punto la gente sa chiaramente cosa succederà anche se non sa quando. “ Ricordo che giorni prima erano passati diversi stormi di aerei che avevano lanciato dei volantini dove era scritto che dovevamo allontanarci dal mare, dalla linea ferrata e dalla strada.” Gatì

Anche il Prof. Quignones asserisce: “Ricordo bene che una o due settimane prima dello sbarco erano comparsi tanti volantini, verosimilmente lanciati da aerei; erano di colore bianco e avevano le dimensioni di un foglietto, poco più grande di un foglio di quaderno. Avvisavano perentoriamente  la popolazione civile di allontanarsi dagli obiettivi militari e dalla ferrovia.”

Così pure Vizzi Salvatore : “Qualche giorno prima dello sbarco era passato uno stormo- non faccio esagerazione - ma dovevano essere almeno cinquecento  aerei. All’altezza del paese si abbassarono e lanciarono dei volantini. Vi era scritto che dovevamo allontanarci dagli obiettivi militari e che dovevamo stare tranquilli ché alla popolazione non sarebbe successo nulla.”

Il 20 e  il 28 giugno Licata è sottoposta ancora a nuove incursioni aeree. Anche di questo bombardamento non c'è traccia in alcun bollettino di guerra ma numerose sono le testimonianze in proposito

IL treno era affollatissimo. Mio padre stava davanti ad un finestrino. Appana partito il treno dalla stazione, gli si avvicinò una ragazza e  gli chiese se poteva cederle il posto perché sentiva il bisogno di prendere aria. Il treno fu bombardato. Un frammento di bomba colpì in pieno la ragazza  che morì sul colpo…..mio padre rimase illeso” La ragazza si chiamava D’Ippolito Angela"

Ed abbiamo trovato un riferimento deliberativo nell'atto N° 384 per il  pagamento di L 1866 a favore di Ferraro Giuseppe per fornitura marmo tombe vittime incursione aerea del 28-06-43; e di L. 4451 a favore di  Mangione Luciano per lavoro e materiali seppellimento vittime incursione aerea del 28-06-43.

 Del 29 giugno è il Bollettino N° 1131 in cui si denuncia la caduta di un aereo nemico in località Comuni.

il  5 luglio, giorno della partenza della flotta americana dalle coste del Nord Africa, furono quattroi bombardamenti. La prima incursione dalle tre alle quattro circa; la seconda, dalle 9,50 alle 10,15; la terza dalle 12,45 alle 13,00 e l'ultima dalle 13,15 alle 13,30. Il 6  Licata subì un bambardamento durato dalle 9,30 alle 9,45; infine l'otto ci furono tre incursioni, rispettivamente alle 7,45, alle 11,50 e alle 12,00.

E’ a questo punto che l’8 luglio vengono fatte brillare le mine per distruggere parzialmente il porto, così che quando sul Mediterraneo si affacciò la potente flotta di Cunningham, il porto era non soltanto minato ma anche danneggiato, cosa che si ripetè lo stesso giorno dello sbarco quando le truppe in ritirata fecero saltare gli ormeggi, mentre  in attesa sulla banchina, il treno armato venne colpito dall’artiglieria navale, precisamente dal caccia Bristol, che faceva la spola nel Mediterraneo. 


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giovedì 9 febbraio 2023

 

PASQUALE VECCHIO, PESCATORE, BAGNINO, MA CONOSCIUTO ANCHE COME “IL LOTTATORE”

 


I più giovani non si ricorderanno, ma quelli della mia età hanno ben conosciuto Pasquale Vecchio, classe 1912, pescatore di mestiere e bagnino in estate dal fisico atletico e dalla muscolatura possente con 56 cm. di bicipide. Carnagione oscura, come i capelli e gli occhi, con i baffi alla Clark Gable. Con il vigile urbano Barone dominava la spiaggia Giummarella. Barone si imponeva sull’arenile, severo castigatore di chi giocava al pallone disturbando la quiete dei bagnanti, Pasquale Vecchio dominava sulla sua barca vigilando attentamente che nessuno andasse oltre le bandierine rosse. Di entrambi, noi giovani nati poco prima o poco dopo lo sbarco degli americani avevano un sacro timore e un gran rispetto.

Don Pasquale era conosciuto anche come il “lottatore”. Perché? Da suo figlio Angelo ho appreso che aveva il pugilato nel sangue ed era stato un grande ammiratore di Primo Carnera soprattutto da quando quel gigante italiano nel 1933 battè Jack Sharkey, vincendo il titolo mondiale dei pesi massimi. Provò una grande delusione quando il suo idolo quattro anni dopo, sotto i colpi di Max Baer, perdette la corona mondiale. Pasquale Vecchio rivelò pubblicamente la sua forza –mi ha raccontato Angelo- una sera al circo equestre. Quando il mare era in burrasca e impediva ai pescatori di uscire con le barche, don Pasquale non stava con le mani in mano e quella sera al circo decise di affrontare, pur di guadagnare qualcosa dopo una settimana di fermo pesca, il campione dalla “forza sovrumana” che il direttore del circo aveva presentato sollecitando i presenti ad affrontare quel gigante. Lo affrontò Pasquale Vecchio e quell’Ercole che faceva sfoggio dei suoi muscoli dopo due minuti fu atterrato, con grande gioia di don Pasquale che potè così intascare il premio.

Sotto le armi, nel gruppo sportivo della R. Marina affinò la tecnica di combattimento sul ring e il caso volle che il 10 luglio 1943, quando gli americani sbarcarono sulle nostre spiagge si trovò a Licata. Qualche giorno dopo lo sbarco, la vita nella nostra città viene scandita dal fruscio dei dollari e c’era chi si inventava un mestiere per guadagnare qualcosa cercando di vendere qualsiasi cosa agli americani. Anche Pasquale Vecchio cercò d mettersi negli affari ma non utilizzando il suo mestiere di pescatore, ma sfruttando la passione dei nipoti dello zio Sam per la boxe. Infatti, tra i fanti americani della 7° armata di Truscott c’erano moli pugili e alcuni anche professionisti che nelle ore libere dagli impegni militari davano spettacolo sul ring. Così don Pasquale, aiutato da un amico che gli faceva da interprete, decise di organizzare, girando per i vari campi militari, un programma di match sfidando i Rangers. Si trattò di combattimenti senza freni, senza problemi di peso, cioè a dire che lui da peso medio qual’era, poteva affrontare, come accadde, anche i pesi massimi. E pretese che i match si disputassero senza guantoni, a mani nude. Pasquale Vecchio, affamato com’era non badava neppure alla sua vita. Così al centro del ring, formato da un semplice quadrato umano finivano i rotoli di dollari delle scommesse che il suo amico interprete raccoglieva e infilava in tasca. Fu davvero un business vincente. Gli incontri si tennero anche in trasferta in tutta la provincia di Agrigento e sotto i suoi colpi caddero uomini anche di oltre cento chili. Pasquale la sera tornava a casa, certo con qualche ammaccatura, ma pieno di dollari. La voce presto si sparse per Licata che riconobbe in Pasquale Vecchio il suo campione. In paese diventò così una specie di mito e per questo tutti presero a chiamarlo il “lottatore”.

Ma nel gennaio del 1944 gli americani lasciarono la Sicilia e il business dei match di pugilato ebbe fine e Pasquale Vecchio dovette ritornare alla vita di tutti i giorni, molto magra allora per le classi povere della nostra città. La pesca ritornò ad essere il suo mondo e quando d’estate lasciava la sua casa di Mangicasale per raggiungere alla marina la sua barca, metteva orgoglioso in evidenza la muscolatura del suo corpo di lottatore annerito dal sole. Di don Pasquale, uomo da tutti rispettato ed apprezzato, resta in noi un grande ricordo.

                                                                                  Calogero Carità

 

 

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martedì 17 gennaio 2023

di Carmela Zangara 


In occasione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco alleato in Sicilia, iniziamo un nuovo percorso volto a ricordare le tappe fondamentali che portarono all’attuazione di quello che fu il momento storico decisivo per la seconda guerra mondiale quando gli italiani, -voltando pagina e iniziando proprio da Licata – trasformarono il conflitto da guerra agli alleati in guerra ai tedeschi, passaggio non indolore senza il quale però oggi non avremmo né la democrazia né la libertà.

La prima pietra dello sbarco alleato fu posta a Casablanca (Marocco) durante la Conferenza svoltasi dal 14 al 24 gennaio del 1943 nella città dove si riunirono i Capi di stato maggiore americani ed inglesi, con l’accordo preventivo di Russia e Cina, per stabilire le modalità di prosecuzione della II guerra mondiale, dopo la vittoria alleata in Africa e la sconfitta dell’Asse. Gli ultimi mesi del 1942  erano stati determinanti ai fini della guerra quando l'Afrika Korps di Rommel, dopo essere arrivata alle porte dell'Egitto aveva subito la disfatta irreversibile di El Alamein  con la ritirata delle forze italo-tedesche lungo il deserto della Cirenaica sino alle porte della Tunisia, disfatta che, sancendo l’imminente fine della guerra, evidenziò la conseguente necessità di creare altri fronti bellici sia nel Pacifico che nel Mediterraneo.  

In assoluta segretezza perciò, Frank Delano Roosevelt, Winston Churchill, il generale francese Henri Giraud, raggiunti successivamente dai generali inglese, Harold Alexander e statunitense Dwight Eisenhower oltre al generale De Gaulle, a Casablanca svolsero il lavoro preparatorio per la formulazione di un  Piano di invasione giungendo alla determinazione -non senza aspri contrasti -per quel che riguarda il fronte del Mediterraneo- di aprire il dossier Husky, nome in codice dello sbarco in Sicilia. Tale dossier- la cui firma avvenne il 18 gennaio all'albergo Sain Giorge di Algeri nella stanza 141, stabiliva di attaccare l’Asse non partendo dalla Francia ma dall' Italia e dalla Sicilia,  scelta per la sua vicinanza alla Tunisia. Era prevalsa insomma la tesi di indebilire  l'Asse sconfiggendo prima Mussolini e soltando dopo attaccando Hitler sul fronte francese.

In quella sede furono enunciati anche i principi fondanti della guerra, comunicati alla stampa, sino ad allora tenuta all’oscuro, soltanto il 12 Febbraio durante la Conferenza per la Dichiarazione Ufficiale conclusiva. 

Tali principi ispirandosi ai valori democratici  si rfacevano:

1) al     principio fondamentale su cui poggiano tutte le democrazie, nate dalle conquiste delle Rivoluzioni americane e francesi, per cui la guerra deve avere lo scopo prioritario di fare in modo che l’autorità di governo spetta ai cittadini e solo ad essi;

2)    alla Carta Atlantica per la quale le popolazioni conquistate devono diventare padroni del loro destino essendo le Nazioni unite concordi nel ridare ai popoli conquistati i loro sacri diritti.

L’obiettivo finale degli Alleati  era la resa incondizionata di Tedeschi, Italiani e Giapponesi, resa che pur essendo intransigente non riguardava i popoli delle Nazioni dell’Asse ai quali non sarebbe stato fatto alcun male ma soltanto ai loro colpevoli e barbari capi.

Nel ricordare questo evento vogliamo ribadire che i  principi democratici formulati a Casablanca -sovranità popolare e auto determinazione dei popoli- purtroppo non sono valori acquisiti  una volta per tutte. Lo dimostra la guerra in Ucraina che combatte per difendere tali valori inalienabili, insidiati da intenti egemonici ed espansivi da parte della Russia. Insomma la pace, una volta conquistata, va custodita e per farlo bisogna ricordare, tramandare, conoscere per comprendere e agire di conseguenza.

 

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domenica 24 aprile 2022

 

Il 25 aprile 1945, giorno della liberazione dell’Italia dal nazifascismo da parte delle forze alleate, rappresenta il momento fondante della nostra repubblica democratica, sancita del 2 giugno del 1946 con il referendum popolare a suffragio universale maschile e per la prima volta anche femminile.

Giorno da ricordare, il 25 aprile, innanzitutto commemorando i Caduti, tutti quei giovani combattenti nei venti mesi di lotta di liberazione che non tornarono a casa e furono pianti da madri, mogli, figli, fratelli con le stesse lacrime ancorché di colore politico diverso. Tutti lasciarono sul campo di battaglia la loro giovane esistenza dalle cui indistinte ceneri nacquero poi i papaveri rossi della toccante canzone di Fabrizio De André: La guerra di Piero.

 Onoriamoli tutti

Non per questo tuttavia intendiamo stravolgere la storia, negando i fatti così come la storiografia vuole, né vogliamo togliere merito ai Caduti delle formazioni partigiane, quelli coi fazzoletti rossi e verdi, i quali schierandosi dalla parte giusta si opposero al totalitarismo, che delegava allo Stato etico il diritto di decidere cosa ciascuno dovesse pensare, fare, dire, professare, scegliere. No. Quello era il pensiero unico, dittatoriale che noi avversiamo ancor più in questi ultimi mesi tormentati da nuove barbarie che ci avvertono quanto precaria possa essere la libertà di un popolo e quanto difficile preservarla.

Ecco perché oggi più che mai siamo profondamente riconoscenti e consapevoli di avere un grande debito nei confronti dei martiri della libertà, che ci hanno donato con il loro sacrificio il pluralismo ideologico, la libertà politica, civile, religiosa insieme alla possibilità di vivere in uno Stato democratico.

Siamo consapevoli. Perciò, proprio per questo sarebbe riduttivo fermarci al ricordo riconoscente e ancor più inutile commemorarli se non facessimo il punto sul significato che noi diamo alla democrazia. Siamo certi che la nostra sia proprio una democrazia matura che non confonde democrazia con demagogia, libertà individuale con libertà collettiva, il bene del singolo con quello della comunità? O stiamo regredendo verso un individualismo esasperato, sordo al rispetto del bene comune? Siamo consapevoli che ogni qualvolta i due livelli si confondono, nasce il rischio di perdere sia la libertà che la democrazia?

Ecco perché non possiamo oggi onorare i Caduti per la libertà senza una riflessione profonda da cui scaturisca un nuovo impegno civile, che ci veda coinvolti in prima persona quali custodi della libertà, garanti della democrazia, disposti a cedere un poco dei nostri diritti individuali in nome dei doveri collettivi, parlando il linguaggio del dovere e non soltanto quello dei diritti, facendoci portatori di pace non untori di odio e divisioni.

Oggi più che mai sarebbe auspicabile che camminassimo sul solco di questi eroi impegnandoci a conservare e tramandare la libertà ai nostri figli e nipoti, salvaguardandola, custodendola, non a parole vuote ma con l’impegno quotidiano di cittadini che sanno stare dentro il rispetto della cosa pubblica, della natura, delle regole comuni, sapendo bene che, se oltrepassiamo i limiti, miniamo la stessa democrazia. Ogni abuso è una violenza democratica, ogni scantonamento una ferita allo Stato, ogni arbitrio un colpo alla comunità.

Facciamo in modo che non morirono invano tutti gli eroi della libertà e i Nostri licatesi:

1)Raimondo Savarino, martoriato e ucciso a Borzonasca in Liguria ;

2)Di Paola Angelo, catturato con altri 17 partigiani venne prima torturato e poi avviato alla fucilazione in località Sbaranzo di Clavesana;

3)Mantia Angelo arruolato nella brigata Matteotti  morì in combattimento tra Baldissera d’Alba e Canale;

4)Gueli Niccolò arruolatosi volontario a 19 anni nei parà della Folgore trovò eroicamente la morte il 19 aprile 1945 con altri 37 paracadutisti del Corpo dei volontari della Libertà sulla dorsale appenninica della linea gotica nel comune di Castel del Rio, mentre cercava di espugnare la fortezza posta su Case Grizzane dove erano asserragliati i cosiddetti Diavoli rossi tedeschi, aprendo il varco alle truppe di liberazione.

per dilagare nella pianura padana

5)Cassaro Giuseppe carabiniere, vice brigadiere in servizio a Pinerolo in Val Chisone, appartenente alla Brigata Ettore Serafino, cadde per fucilazione a Fenestrelle il 22 aprile del 1944.

 

Né soffrirono invano le donne deferite al tribunale speciale, istituito nel novembre del 1926 per crimini contro la sicurezza dello Stato ed il Regime fascista, cioè per i reati politici. Le coraggiose donne Siciliane sottoposte a giudizio per avere difeso diritti sacrosanti negati dalla dittatura:

1)    Lucia Caponnetto di Francofonte, arrestata perché svoleva attività antifascista,

2)    Giuseppina Cosolito di Caltagirone,

3)    Amalia Gregorio di Santa Teresa Riva (Me),

4)    Emilia Ermellino di Messina.

5)    Marrale Alessandra nata a Licata,

Tutte poi rinviate al tribunale ordinario

 

E non fu vano il dolore di chi pagò la dissidenza al fascismo col confino sperimentando sulla propria pelle la limitazione della libertà personale:

1)    Francesco Incorvaia; 

2)    Gaetano Cascino calzolaio, antifascista;

3)    Giuseppe Giosuè Greco, impiegato, apolitico;

4)     Alfredo La Perna spedizioniere, comunista;

5)    Onofrio Cavaleri, fotografo, socialista;

6)    Giovan Battista Adonnino, avvocato, fascista;

7)    Pietro Francesco Guidotto, studente, fascista

 

Facciamo in modo che dalle ceneri del passato nasca nuova semenza di civiltà e non di barbarie.

Buon 25 aprile

Bibliografia

1)    S. Carbone- L. Grimaldi, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia, Archivio centrale dello Stato, Roma 1989

2)    C. Zangara, Per Liberar l’Italia. I Siciliani nella Resistenza /1943-45), ediz. La Vedetta  Licata, 2011

 

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sabato 19 febbraio 2022

 I Parte 

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